La nobile follia dei privati che gestiscono i teatri
La nuova gestione del Brancaccio, il Valle occupato e la sesta posizione di Roma come città italiana che produce cultura
ROMA - Di questi tempi un imprenditore che riapre un teatro fa
lo stesso effetto di un uomo che morde un cane. Non sarà mica
ammattito? Alessandro Longobardi pazzo non sembra, incosciente lo è di
sicuro. Da anni gestisce la sala Umberto, da poco ha aperto lo Spazio
Diamante al Pigneto. Ora ha deciso di rilanciare il Brancaccio, un
teatro da mille posti, destinato alla chiusura più da una perdita di
identità che dalla disaffezione del pubblico. Quando riapre un teatro è
sempre una bella notizia. A maggior ragione per questa sala che
rischiava di non festeggiare nel 2016 un meritato secolo di vita, da
quando i principi Brancaccio lo fecero edificare sui propri terreni
chiamandolo teatro Morgana e rendendosi conto subito dopo che era meglio
valorizzare il cognome di famiglia. E giustamente, la nostra Laura
Martellini, intervistando Longobardi su obiettivi e progetti, gli ha
chiesto conto dei motivi dell'azzardo. Lasciamo stare le scelte
culturali, su quelle si può discutere in eterno, e concentriamoci su
questa frase di Longobardi: «Fare teatri da privati è un'operazione
folle da sempre. Dietro un'ora e mezzo di spettacolo, ci sono i costi di
due tecnici, cinque ragazze di sala, le spese per le pulizia. In più
siamo strozzati da una burocrazia assurda. Manca una legge regionale,
non riusciamo a lanciare una battaglia comune».
Il teatro Valle occupato
Come si fa a non pensare ai programmi annunciati solo poche ore
prima dagli occupanti del Teatro Valle? Loro non hanno nessuna di queste
spese, nessun rischio d'impresa (e nessuno in generale visto che
agiscono nella generale indifferenza) e possono annunciare con una certa
baldanza che il Campidoglio ha pagato 90.000 euro di bollette, ma non
ha speso il milione di finanziamento che aveva previsto. Non si è capito
se si aspettano anche di essere ringraziati per questo. In compenso
hanno annunciato una serie di appuntamenti, con artisti importanti della
scena italiana che faranno serate, seminari, laboratori. Tutto gratis.
Quegli stessi artisti possono permettersi di regalare parte del loro
tempo e del loro impegno, visto che a fare guadagnare loro i soldi per
vivere (per carità, non vi immaginate chissà che cifre, sempre di teatro
a tratta) ci pensano gli imprenditori come Longobardi che pagano
maschere, cassiere, tecnici, bollette e tasse.
Roma sesta in classifica delle città italiane per ricchezza prodotta dalla cultura
È un po' ruvido da dire, ma è così, con buona pace di tutte le
migliori intenzioni. Allora, in questa estate ruvida, che segnali
abbiamo sulla prossima stagione teatrale? Che le imprese faranno i salti
mortali, a fronte di ulteriori tagli nei finanziamenti, nell'aumento di
bollette e imposte (per chi le paga), nella ricerca sempre più
difficile di qualche sponsor che in questo paese sono più rari dei
difensori della legalità. Che sono pochissimi. Nel frattempo l'assessore
Dino Gasperini ha annunciato una importante delibera sulla casa della
drammaturgia e i teatri di cintura, ma non siamo riusciti ancora a
leggerla. Verrebbe lo sconforto se non ci fossero inattese notizie
liete, come il sesto posto di Roma nella classifica delle
migliori dieci province italiane per ricchezza prodotta dalla cultura:
per come viene trattata poteva andarci molto, molto peggio.