mercoledì 25 luglio 2012

La nobile follia dei privati che gestiscono i teatri

La nuova gestione del Brancaccio, il Valle occupato e la sesta posizione di Roma come città italiana che produce cultura




Il teatro di Via Merulana
ROMA - Di questi tempi un imprenditore che riapre un teatro fa lo stesso effetto di un uomo che morde un cane. Non sarà mica ammattito? Alessandro Longobardi pazzo non sembra, incosciente lo è di sicuro. Da anni gestisce la sala Umberto, da poco ha aperto lo Spazio Diamante al Pigneto. Ora ha deciso di rilanciare il Brancaccio, un teatro da mille posti, destinato alla chiusura più da una perdita di identità che dalla disaffezione del pubblico. Quando riapre un teatro è sempre una bella notizia. A maggior ragione per questa sala che rischiava di non festeggiare nel 2016 un meritato secolo di vita, da quando i principi Brancaccio lo fecero edificare sui propri terreni chiamandolo teatro Morgana e rendendosi conto subito dopo che era meglio valorizzare il cognome di famiglia. E giustamente, la nostra Laura Martellini, intervistando Longobardi su obiettivi e progetti, gli ha chiesto conto dei motivi dell'azzardo. Lasciamo stare le scelte culturali, su quelle si può discutere in eterno, e concentriamoci su questa frase di Longobardi: «Fare teatri da privati è un'operazione folle da sempre. Dietro un'ora e mezzo di spettacolo, ci sono i costi di due tecnici, cinque ragazze di sala, le spese per le pulizia. In più siamo strozzati da una burocrazia assurda. Manca una legge regionale, non riusciamo a lanciare una battaglia comune».
Il teatro Valle occupatoIl teatro Valle occupato
Come si fa a non pensare ai programmi annunciati solo poche ore prima dagli occupanti del Teatro Valle? Loro non hanno nessuna di queste spese, nessun rischio d'impresa (e nessuno in generale visto che agiscono nella generale indifferenza) e possono annunciare con una certa baldanza che il Campidoglio ha pagato 90.000 euro di bollette, ma non ha speso il milione di finanziamento che aveva previsto. Non si è capito se si aspettano anche di essere ringraziati per questo. In compenso hanno annunciato una serie di appuntamenti, con artisti importanti della scena italiana che faranno serate, seminari, laboratori. Tutto gratis. Quegli stessi artisti possono permettersi di regalare parte del loro tempo e del loro impegno, visto che a fare guadagnare loro i soldi per vivere (per carità, non vi immaginate chissà che cifre, sempre di teatro a tratta) ci pensano gli imprenditori come Longobardi che pagano maschere, cassiere, tecnici, bollette e tasse.
Roma sesta in classifica delle città italiane per ricchezza prodotta dalla culturaRoma sesta in classifica delle città italiane per ricchezza prodotta dalla cultura
È un po' ruvido da dire, ma è così, con buona pace di tutte le migliori intenzioni. Allora, in questa estate ruvida, che segnali abbiamo sulla prossima stagione teatrale? Che le imprese faranno i salti mortali, a fronte di ulteriori tagli nei finanziamenti, nell'aumento di bollette e imposte (per chi le paga), nella ricerca sempre più difficile di qualche sponsor che in questo paese sono più rari dei difensori della legalità. Che sono pochissimi. Nel frattempo l'assessore Dino Gasperini ha annunciato una importante delibera sulla casa della drammaturgia e i teatri di cintura, ma non siamo riusciti ancora a leggerla. Verrebbe lo sconforto se non ci fossero inattese notizie liete, come il sesto posto di Roma nella classifica delle migliori dieci province italiane per ricchezza prodotta dalla cultura: per come viene trattata poteva andarci molto, molto peggio.

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