sabato 19 novembre 2011

L'arte pura e autentica della follia

Da Bergonzoni a Scabia, al via il Festival dei Matti. Una riflessione su queste personalità tra teatro, musica e laboratori incentrata su una considerazione: «La creatività è nella mancanza di regole»

Alessandro Bergonzoni (web)A. Bergonzoni


Nella forma definitiva era enorme e perfetto. Una pancia piena, riempita di foglietti a raccontare i sogni di chi, dentro il manicomio, c'era rimasto fino a quel momento. Le mani non lo avevano toccato, ancora. Ma i sogni l'avevano accompagnato durante la sua costruzione. Ha girato per le vie di Trieste, quel giorno. Immenso, azzurro, come un segnale. Come se il confine tra l'esistente e l'ammesso al vivere comune dovesse essere sottolineato da qualcosa che di per sé strabordava e superava i confini dell'ovvio. Marco Cavallo, l'enorme cavallo azzurro di cartapesta, realizzato nell'ambito del laboratorio condotto nel manicomio di Trieste tra il gennaio e il febbraio del 1973 da Giuliano Scabia, insieme a Vittorio Basaglia (fratello di Franco) e insieme a tutti è stato un simbolo. Il passaggio (anche fisico) tra il «dentro» e il «fuori». Tra lo spazio costretto e le strade. Di fango, pioggia, sterpaglia. Ma pur sempre strade dove il percorso non era prestabilito. In quei mesi tutti furono artisti. Medici, infermieri, inservienti. 

Pennelli alla mano, dita a modulare colla e cartapesta, per dare espressione alla liberazione. In quei mesi tutti furono «matti ». Occhi aperti sulle domande irrisolte, sul nuovo a venire, sui sogni, quelli si concreti, di persone che per vent'anni erano rimasti chiusi lì dentro. Oggi, quarant'anni dopo, il confine non ha più lo stesso spessore. Non è murato, non è impenetrabile. Ma esiste, soprattutto nel sentire comune, soprattutto quando, le sovrastrutture del pensiero hanno raggiunto forma compiuta. Soprattutto tra gli adulti, insomma. E sarà di questo, che, giunto ormai alla sua terza edizione, proverà a parlare il Festival dei Matti, incontri e invenzioni dentro la follia, a Venezia da mercoledì a sabato 19 novembre (www.festivaldeimatti. org). Musica e suoni articolati in colori nello scenario stupendo della Basilica dei Frari (con Claudio Cojaniz alle 21, domani sera), teatro (con Alessandro Bergonzoni, e il suo Urge, giovedì 17 alle 21 al Teatro Goldoni e Giuliano Scabia, prima con Mondi di fuori, venerdì 18 alle 21 al Teatro Goldoni e poi sabato, alle 21 con La luce di dentro. Viva Franco Basaglia, in collaborazione con Claudio Misculin e l'Accademia della follia), ma anche laboratori di cittadinanza, nelle scuole (con la Fondazione Franca e Franco Basaglia, sabato mattina alle 11 al Teatro Goldoni).
Coi bambini che presenteranno i loro Comodini, le loro storie personali, cioè. Quegli spazi «dedicati al sè» che furono, con l'apertura dei manicomi, il primo simbolo della riconquista di sé stessi, per i tanti ospiti. «Quella che porteremo in scena è una riflessione sul cammino cominciato nel 1973 - spiega Scabia - poesia e teatro che entrano in un luogo chiuso, lo vivono, ne vivono le trasformazioni. Il cavallo azzurro era ed è una poesia vivente, creata insieme a 1200 persone. Un'azione che mette in moto l'entusiasmo primordiale. La vita. Accende le spine. Sono persone di una sensibilità straordinaria - dice Scabia - ma non banalizziamo. C'è un'apertura assoluta, in loro. Un'accettazione (e forse una comprensione) dell'esistente, del gesto artistico che corre dieci passi avanti rispetto alla "normalità". È più difficile lavorare con attori professionisti, ad esempio. Anche quelli bravissimi faticano a superare le loro abitudini primordiali, le sovrastrutture sulle quali hanno costruito il loro lavoro. I "matti" no. 

Sembra che si salga di un livello, esperienzialmente parlando. Hanno un approccio con l'arte puro, ma non ingenuo. Colgono il punto e poi, nel superare le loro difficoltà, che gioia. E la società allora, si, diventa ascolto che cura». C'è anche fascino, nella follia. C'è una ragione per cui, nomi ed etichettature, di per sé senza certificazione (chi decide, in fondo, quando e come il confine si sposta?) sembrano allargare i confini della libertà concessa. Ma è un'attrazione, questa, nei confronti della bellezza più o meno carica di dolore, che rischia di dimenticare l'altra faccia. «Tutti siamo attratti dall'idea di essere matti se ciò significa sottrarci a pensieri e comportamenti scontati, alla prigionia delle regole, alla possibilità di far valere la nostra unicità come tale- aveva detto Franco Rotelli alla prima edizione veneziana del Festival - nessuno però è disposto a pagare il dazio che invece paga, e smisuratamente, chi non sceglie di essere "il matto" ma lo diventa senza sceglierlo, diventando poi prigioniero delle istituzioni». 
Alice D'Este

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